Quando Titonel esordì come pittore si era negli anni dell'esplosione pop-artistica: i fatidici anni Sessanta, che videro un recupero del figurativo, dunque di un'arte di più facile leggibilità corrente, anche se i suoi significati erano vari e complessi. E in Italia, va detto, il neorealismo degli anni Cinquanta aveva aperto un percorso che si sarebbe annodato al Pop art internazionale senza soluzione di continuità. Titonel, peraltro, veniva da un apprendimento del cosiddetto mestiere, dunque possedeva una padronanza espressiva che poteva utilizzare in qualunque direzione volesse; e subito dimostrò, a fianco della nitida e fredda durezza iperrealista, orientamenti verso certe corposità plastiche, percorse da effetti umbratili, che avrebbe poi sviluppato con appassionata predilezione in un secondo momento.
Questo mi pare di dover chiarire sùbito: come ogni artista desideroso di non bloccare la propria fantasia e il proprio estro su una formula standardizzata, Titonel a un certo punto cambiò maniera espressiva ed iconografica, e si dedicò a una pittura che possiamo convenzionalmente definire astratta, anche se per un certo periodo nelle sagome compositive è possibile individuare una matrice mimetica della realtà. E questo tipo di pittura differiva dalla maniera precedente anche per il tipo di pennellata: prima liscia e asciutta, tanto da suggerire un confronto con la fotografia; e ora pastosa, o meglio cretosa. Il giudizio che noi critici esprimemmo su questa evoluzione fu concordemente quello che l'artista da un discorso generale, inteso a mettere il dito sul senso della civiltà tecnologica, e il suo congelamento dei rapporti umani, fosse passato a un'introspezione emotiva, a frugare eccitato nella propria coscienza: avesse attuato dunque una profonda trasformazione.
Non è esattamente così. Certo, la sensitività della sua produzione informale, che richiama in particolare il mondo di Fautrier, differisce dalla lucida stesura di quegli esterni alla Hopper, con violenti tagli dinamici, dove il tema della solitudine appare esplicito: la solitudine delle stazioni, luoghi dove si sosta per andare altrove; dell'incomunicabilità dei personaggi nelle sale d'aspetto, che non costituiscono una comunità; e la solitudine stessa dei treni, macchine potenti, aggressivamente prospettate nel loro avanzare frontale. Ma se appena noi leggiamo queste scene nella struttura formale, prescindendo dal loro significato narrativo; se le accostiamo alle composizioni che vanno via via assumendo una fisionomia astratta, e passiamo da figure umane leggibili naturalisticamente alle sagome dei dipinti successivi, che paiono personaggi archeologici, reperti di epoche lontane, sino a perdere a poco a poco ogni connotato referenziale, ci rendiamo conto che l'artista ha evoluto la sua formula espressiva ma senza strappi. Tanto è vero che in una fase ancora successiva egli è tornato da queste simbologie elementari a nuove rappresentazioni di leggibilità realistica; è tornato anche ai suoi temi, a iconografie legate al quotidiano e all'attuale; e si è anche impegnato in un'attenzione fisionomica di penetrante potenza.
In tale rovello creativo che fruga nell'inesplicabile - e sempre, ancora, nel senso della solitudine esistenziale e intellettuale - si potrebbe assumere come simbolo il tema iconografico della mano: la mano aperta appare modello di fondo in molte composizioni di tipo astratto, sia quelle geometrizzanti sia quelle che si modellano come mitiche sculture di struttura ricurva, e riaffiora e riemerge via via; con minore evidenza ma non del tutto obliterata la si individua nella stessa fase popartistica, in quelle straordinarie sequenze di persone che sono insieme puntigliosi ritratti e trasfigurate metafore. La mano infine si leva nei gesti di difesa e nel medesimo tempo di vittoria, di entusiasmo e di preghiera.
Tutta l'opera di Titonel è percorsa da una volontà - e capacità - di confrontare l'attuale, nelle sue caratterizzazioni tecnologicamente evolute, e l'assoluto primitivo; il vuoto della società e la desolazione interiore. E se a un certo punto, mimando una gara sportiva, sembra che alla figura umana venga associata un'idea di vittoria, la ripetitività stessa del tema rende la situazione meccanica e non risolutiva; e a poco a poco fessure (nel muro artificiale o nella roccia naturale?), crepe, sgretolii divorano la persona, e il gesto trionfale è un gesto d'addio. L'uomo ritorna nelle caverne.